Importazioni e dazi, ecco i paesi più chiusi al commercio internazionale

14355887_10154531819774594_1036320889_nIl recente incontro tra i rappresentanti delle 20 economie più importanti del mondo, il G20, ha posto alla ribalta l’argomento del commercio sleale. In particolare a Hangzhou, è stata portata avanti la battaglia già intrapresa a Bruxelles contro l’acciaio cinese. Di riflesso il discorso è andato a toccare tutte quelle pratiche di protezionismo commerciale attualmente attive nel mondo. Gli sforzi fatti in precedenza, come ad esempio il Doha Round, non sono riusciti a far rilanciare il commercio internazionale. Gli accordi di libero scambio a carattere regionale o non sono mai stati portati a termine o non hanno dato i frutti sperati. Dunque sembra proprio che il protezionismo possa caratterizzare i rapporti economici tra paesi diversi. Nel caso delle barre d’acciaio rinforzate di fabbricazione cinese Bruxelles ha multato il governo cinese con dazi antidumping per una percentuale compresa tra il 18,4% e il 22,5%.

Tuttavia questo caso non è l’unico. Il paese dove esportare merci costa di più in assoluto è Bahamas. Il famoso paradiso fiscale nei Caraibi impone dei dazi medi del 35%, con picchi del 45% per alcune materie prime. Al secondo posto troviamo il Sudan con dazi per 21% sulle importazioni. Proprio il continente africano presenta le tariffe più elevate, segnale di come gli accordi commerciali regionali non siano mai decollati per davvero. La prima tra le economie maggiori per dazi applicati è il Brasile. Il paese sudamericano ha una tariffa media del 13,5% che rappresenta una delle cause del crollo del commercio con l’estero. Secondo uno studio del World Trade Organization, l’Unione Europea è tra le aree a minor tassazione con il 5,3% benchè sia comunque superiore al 3,5% degli Stati Uniti e il 4,2% del Giappone. Dunque sembra emergere che i paesi emergenti sono quelli più protezionisti.

In generale osservando le macroeconomie delle merci tassate, l’agroalimentare è la più colpita, in particolare per quanto riguarda i latticini. In questo caso i prezzi al consumo posso anche triplicare rispetto al prezzo che sarebbe stato applicato in assenza di tariffe doganali. Esempio eccellente di ciò è il Canada con un’aliquota del 250%. Anche Svizzera e Norvegia non scherzano con un dazio sui lattici rispettivamente di 148% e 133%. In generale le materie prime sono subito dopo quelle più tassate. Non sorprende quindi che gli esportatori cercano di ingegnarsi in meccanismi di elusione dei dazi. Ad esempio è a dir poco singolare il caso Liu Zhongtian che, per raggirare le tariffe doganali, sembra aver nascosto ingenti quantità di alluminio in Messico. Per quanto riguarda un altro settore d’interesse in Italia come l’abbigliamento, le tariffe possono arrivare fino a sopra il 30% come avviene in Brasile.

Dunque il timore è che un innalzamento generale delle tariffe possa comportare nel lungo termine lo stagnamento del commercio internazionale. Così si annullerebbero gli effetti positivi legati alla relativa debolezza del dollaro rispetto le altre valute, come osservabile su diverse piattaforme di forex. Il rallentamento degli scambi commerciali è, secondo la teoria economica, solo il primo passo verso l’arresto del processo di globalizzazione attualmente in corso. Come già visto, le economie emergenti sono quelle che più proteggono le proprie produzioni. Tuttavia questo atteggiamento rischia di essere nocivo per il loro sviluppo, soprattutto se si protrarrà nel medio e lungo termine. Per questo motivo diventa importante sciogliere i nodi che ostacolano l’affermarsi degli accordi commerciali di libero scambio o di scambio agevolato in modo da creare aree dove le merci possano venir commerciate liberamente.