Lavoro: in calo il numero dei giovani Neet

14355887_10154531819964594_1902656368_nNegli ultimi giorni l’Istat ha pubblicato gli ultimi dati sull’occupazione del trimestre scorso. Nei secondi tre mesi del 2016 l’occupazione complessiva aumenta dello 0,8%, per un totale di quasi 190 mila unità. Il dato viene definito dall’istituto di statistica di intensità diversa ma comune a tutte le tipologie. Infatti i dipendenti a tempo indeterminato aumentano dello 0,3% mentre quelli a termine e gli indipendenti rispettivamente del 3,2% e del 1,2%. Proiettando i numeri su base annua, la crescita sarebbe di quasi 440 mila nuovi occupati dei quali ben 223 mila nella fascia dei giovani, ossia quella tra i 15 e i 34 anni.

Allo stesso tempo, il tasso di disoccupazione si assottiglia leggermente (-0,1%) attestandosi sul 11,5%. Anche il tasso di inattività diminuisce di mezzo punto percentuale. Sempre nel secondo semestre del 2016 un milione e 758 mila persone hanno cercato lavoro negli ultimi 12 mesi, 87 mila meno se comparati al raffronto tendenziale.

Eppure la notizia che sembra tra tutte quella più positiva riguarda i Neet. Questa sigla che deriva dall’inglese (Not in Education, Employment or Training) definisce quella parte della popolazione in età di lavoro che non studia, lavora o affronta un periodo di formazione prima dell’assunzione. Ebbene secondo l’istituto di statistica italiano nei secondi tre mesi dell’anno in corso i Neet scendono al 22,3%. Tre anni fa lo stesso dato era del 25%: in numeri grezzi solo nel corso dell’anno passato si è registrato un calo di 252 mila unità. Questo dato fa ben sperare per i nostri giovani, in particolar modo per i giovani in uscita dall’università. D’altronde l’Italia è cronicamente uno dei paesi europei che con più difficoltà riesce ad immettere le nuove generazioni nel mondo del lavoro. Questa difficoltà è anche avvertita all’interno del percorso di formazione e di istruzione.

Difficile attribuire i meriti di questo miglioramento. Certamente gli sgravi fiscali e gli incentivi all’assunzione stabiliti dal governo hanno avuto il loro ruolo, specialmente per quanto riguarda le assunzioni a tempo determinato. A questo proposito uno dei timori è che qualora gli incentivi alle imprese venissero meno, i posti di lavoro creati andranno a venir meno. Chi è a supporto di questa tesi, porta come prova il fatto che la produzione, quella industriale in particolar modo, non abbia registrato una crescita simile a quella delle assunzioni. Quindi il timore è che i nuovi assunti, specialmente quelli a termine, vengano poi non veder rinnovato il loro contratto.

Tuttavia il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro sembra messe a repentaglio da fattori esterni al nostro paese che però hanno una ricaduta non da trascurare. Tra i segnali di tempesta sembrano arrivare dall’Europa. Durante l’ultimo incontro della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha evitato di specificare se l’istituto deciderà di allungare o potenziare il Quantitative Easing. Gli effetti per l’economia italiana andrebbero certamente a toccare anche il mercato del lavoro. Inoltre nell’ultimo anno la nostra economia ha beneficiato non poco del prezzo del petrolio ai minimi rispetto a quello registrato negli ultimi anni. Questa situazione per noi positiva potrebbe venir meno con la tregua tra i paesi facenti parte dell’Opec. E’ notizia recente che l’Arabia Saudita abbiamo più o meno direttamente dichiarato l’intenzione di ridurre la produzione di petrolio comportando, di conseguenza, un innalzamento delle quotazioni.